E’ consuetudine popolare far risalire la parola “vino” al sanskrito “ven” che significa “bello”, da cui venus, Venere ecc. Quindi il concetto del bello nel vino vuol significare una bevanda nobile, leggiadra, direi la più nobile delle bevande. L’etimo in veste romantica risalente all’ottocento sull’onda delle ricerche del Mommsen di ariana memoria, giova subito sottolinearlo, risulta però in contrasto con gli studi etimologici contemporanei. I linguisti concordano infatti nel ritenere la parola di origine mediterranea, il che significa in gergo tecnico, non di origine indoeuropea. L’atavico lapsus, onde far conservare quell’alone di leggiadria alla meravigliosa bevanda, è comunque tuttoggi rimasto come luogo comune da accettare ad “occhi bendati” pro bono pacis dei buongustai. I linguisti sogliono chiamare il vino parola viaggiante, fluttuante, in virtù dell’estrema diffusione della stessa tra popoli, razze e lingue diverse, in un’area vastissima che va dall’India al Mediterraneo, presso tutte quelle località ove sorse e si sviluppò la coltura della vite. Così abbiamo una pletora di nomi dalle diverse sfumature provenienti da “ogni dove e quando” ma tutti legati da un etimo comune. Riporto qui di seguito alcuni esempi: miceneo wo-no, ugaritico /yn/, akkadico /inu/, proto-semitico (sabeo) /wyn/, egiziano antico /wnš/, georgiano /gwino/, armeno /gini/, ittita /wiyan(a)/, luviano “wa/i/ya-na”, arab. “wayn” ecc. Sono tutte parole legate tra di loro in senso cosìdetto orizzontale, cioè imprestiti da una lingua all’altra. Molto spesso questi imparentamenti avvengono quando una etnia trasmette ad un’altra delle innovazioni tecnologiche, beni nuovi, ecc. Il più delle volte la etnia ricevente prende imprestito il nome che la “novità” aveva presso il gruppo etnico trasmettitore. La cioccolata ieri ed il computer oggi docent. Sulla base di quanto detto sarebbe cosa interessante riuscire ad individuare quale sia stato l’etimo primigenio che ha dato il via all’escalation. Il farlo significherebbe infatti scoprire dove è nata la viticoltura, intesa questa come vera e propria attività d’impresa, secondo i “canoni” a noi noti delle tecniche di produzione, conservazione e commercio del vino. Una scoperta tra le più significative avendo inciso sui beni primari dell’uomo, l’alimentazione. Dare risposta certa al quesito risulta però impossibile, dovendo la ricerca scavare a ritroso nel tempo per millenni e millenni, peraltro con scarsa documentazione al riguardo. Nel presente scritto illustrerò un “tentativo” di risposta, per la verità molto attendibile perché supportato da elementi significativi su base scientifica. La parola vino, nelle varie attuali configurazioni a noi note, Wein, wine, vin, Винó ecc. deriva dal latino vinum e questo dal greco eol. , mentre per ciò che concerne più specificatamente il termine “eno” (enogastronomia, enoteca, enologia ecc.) la parola deriva dal greco attico-jonico Οίνός. Il dialetto eolico, parlato prevalentemente nell’isola di Lesbo, presenta ad inizio della parola il cosiddetto digamma eolico, lettera greca caduta in disuso pare ancor prima che nascessero i poemi omerici ma che originò il fonema etrusco /V/, ereditato infine dal latino, da cui la parola vinum. Lesbo e Samo dettero origine alla viticoltura in Grecia attingendo, in epoca imprecisata le tecniche di produzione ed il vino stesso, dall’Egitto e dal vicino oriente (attuali Palestina, Siria, Libano), aree ove era sviluppatissima la produzione del vino intorno al 1000 a.C. ed anche in epoche precedenti. In Egitto la parola vino era chiamata Jrep ma, una particolare tipologia su base resinata era indicata col termine Wns / Wnst (cfr. R. Hannig, Handwörterbuch Ägyptisch – Deutsch, Mains 2001, pag. 200, “Wein” / “Rosinenwein”). Lesbo e Samo presero in prestito questo lemma che divenne wjnos indicante, non come gli egizi un particolare tipo di vino, ma il vino in genere. Giova rammentare che la tradizione del vino resinato in Grecia esiste, com’è noto, ancor oggi su larga scala. Gli egizi ed i semiti occidentali conobbero il vino, probabilmente per il tramite dei fenici in epoca imprecisata, proveniente dalla Colchide, la mitica terra del Vello d’Oro che in grosso modo corrisponde allo stato della Georgia. Molto probabilmente è quella la terra “di origine del vino” e ciò lo si può desumere da tre elementi: l’etimo della parola in kartvelico e poi nel moderno georgiano “gwino” (il georgiano è una lingua isolata o per partogenesi); i trasporti attraverso il mar Nero del prodotto documentati verso l’Egitto ed il vicino oriente; infine, cosa più importante, i più antichi rinvenimenti al mondo attestanti la presenza del vino risalenti a 8-9000 anni orsono (Shulaverj, Georgia). In nessuna parte del mondo si sono trovati reperti così antichi. Il vino probabilmente si diffuse dalla Colchide per via terra a sud verso l’Armenia, gli altopiani iranici, i monti Zagros ed ancor oltre verso l’India. A ovest, per via mare attraverso il Mar Nero nel Mediterraneo dove ebbe larga diffusione, come accennato, soprattutto in Egitto e vicino Oriente. I georgiani sono orgogliosi di questa paternità e chiamano la loro terra “La culla del vino”. Ancor oggi i georgiani usano grandissimi contenitori, risalenti al neolitico, chiamati Kvevri e posti sottoterra per una miglior conservazione delle tante qualità di nettare della vecchia Iberia (il nome di un tempo di quella regione), sulla base di circa 600 tipi di uve, ed amano con atavico rito bere, in un particolare calice a forma di corno, il kantsi.