L’ALFABETO CONSONANTICO-VOCALICO E LE SCRITTURE DELL’ORIENTE ANTICO
Un’introduzione al problema storico e linguistico dell’origine della scrittura
Premessa
La presente ricerca si prefigge di analizzare quali possano essere state ed in quale misura, le influenze esercitate dalle scritture in uso nell’oriente antico ed in particolare in Egitto, nei confronti delle scritture alfabetiche CV [1] adottate ab initio dalla Grecia e successivamente da altre popolazioni dell’area mediterranea e non solo. In ultima analisi cercare di rispondere al seguente quesito: la scrittura alfabetica CV deve considerarsi o meno la forma di scrittura più completa rispetto ad altre, quella che maggiormente ha contribuito a stimolare il genio inventivo dell’uomo nonché a lasciar miglior traccia del suo pensiero? Lo studio riflette soltanto le scritture dell’oriente antico in linea di massima identificabili con la vasta area della mezzaluna fertile [2] ; vengono pertanto escluse le altre forme di scrittura quali ad esempio gli ideogrammi cinesi, il sanscrito ecc. perché del tutto estranee al processo evolutivo direttamente afferente alla ricerca. Onde agevolare il lettore, i segni geroglifici sono riportati mediante traslitterazione in caratteri latini secondo le regole del Manuel de Codage del van den Berg.
I – Sulla origine della scrittura
Risulta difficile poter stabilire una data, seppur approssimativa, della origine della scrittura. I reperti più antichi definiti “scrittura” da noi conosciuti risultano essere gli ideogrammi sumeri risalenti a circa 6000 anni orsono; esistono però iconografie rupestri (cfr. le incisioni sahariane, della Valcamonica, Çhatal Hüyük ecc.), databili anche a svariate migliaia di anni addietro [3], che si prestano a molteplici interpretazioni. La simbologia utilizzata dall’uomo preistorico generalmente riflette immagini della vita dell’epoca, animali, piante ecc. e nel merito i paleografi considerano la iconografia pre-sumera una semplice espressione dell’animo umano non finalizzata al concetto che si ha della scrittura, cioè il comunicare il proprio pensiero, le proprie idee per mezzo di opportuni segni convenzionali da trasmettere al lettore. Tale assioma deve essere accettato, dura lex sed lex, perché non esistono allo stato prove contrarie, su base scientifica e non congetturale, di un arretramento delle origini della scrittura. Come in precedenza accennato risulta però difficile il poter stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio, se tutte le iconografie preistoriche siano finalizzate al semplice scopo di rappresentazione artistica di un qualcosa od anche, seppur in parte, esprimere idee coincidenti con il valore semantico che noi attribuiamo alla scrittura. Un forte dubbio che possano esistere delle forme di proto-scrittura od addirittura di pseudo cripto-scrittura non può essere di certo dissipato. Si è certi solo di una cosa: l’aritmetica è sorta allorché l’uomo, in epoche ben più antiche dei periodi anzi descritti, incominciò a far di conto con le dita, ma questa non è scrittura perché il computo digitale resta fine a se stesso non lasciando alcuna traccia visiva. Poiché qualsiasi storia e quindi anche quella della scrittura, è composta da una serie di anelli ognuno generato dal precedente, dobbiamo collocare ob torto collo convenzionalmente il primo anello della stessa all’epoca di sumer e di quella civiltà.
II – Sulla evoluzione delle scritture sumere
La scrittura logografica sumera, composta da una notevole quantità di morfemi [4], subì nel tempo un lento ma sensibile processo evolutivo, passando dal sistema di scrittura logografica a logofonetica, processo completatosi in epoca accadica. Man mano che i logogrammi perdevano la finalità di rappresentazione grafica per acquisire la funzione di fonogrammi, i segni assumevano veste anaiconica non avendo più gli stessi aderenza con la realtà oggettiva delle immagini che un tempo rappresentavano. Questo processo evolutivo, peraltro comune alla maggior parte delle antiche scritture, portò a delle modifiche di ordine grafico molto rilevanti [5]. I caratteri cuneiformi, reddere rationem di questo lungo processo evolutivo, furono adottati in molte aree dell’oriente antico come unico metodo di scrittura [6]. Le popolazioni degli altopiani iranici, gli elamiti, gli assiri, i cassiti ecc. pur avendo una propria lingua, furono per lo appunto, accomunati dallo stesso sistema di scrittura, il cuneiforme realizzato su tavolette di argilla mediante appositi cunei. C’è da segnalare altresì che l’accadico divenne per molto tempo la lingua ufficiale nei rapporti internazionali sia commerciali e soprattutto diplomatici in tutta la vasta area testé descritta[7]. Al fine della presente ricerca assume particolare importanza, per ciò che concerne il cuneiforme, la scoperta avvenuta nel 1929 da parte di una missione archeologica francese a Ras Shamra, Siria settentrionale (l’antica Ugarit), di una particolare scrittura in caratteri cuneiformi ristretta esclusivamente a 30 segni o lettere. Il cuneiforme Ugarit risale a periodi compresi tra il 1300 e 800 a.C. Trattasi di un sistema estremamente rivoluzionario di scrittura perché ci si trova di fronte ad un alfabeto consonantico, cioè un alfabeto formato solo da consonanti, quindi una evoluzione profonda rispetto ai caratteri sillabici dell’accadico. Rammento che l’accadico si basava su di una moltitudine di caratteri costituiti da due tipi di segni, morfemi e suoni. I caratteri Ugarit invece si fondavano sul sistema rivoluzionario del rebus che è alla base delle scritture alfabetiche. In sostanza pochi segni ripetitivi, in tal caso trenta, esprimenti i vari suoni consonantici che opportunamente collegati tra loro rendevano il senso del discorso senza ricorrere alle migliaia di segni delle altre scritture, quali l’accadico. Risulta altresì interessante rilevare il moderno ordine di progressione delle lettere di questo alfabeto consonantico, ordine che è rimasto pressoché inalterato nella scrittura alfabetica CV. La prima lettera è ‘a (consonante debole corrispondente in larga misura alla A egizia, G1 della lista Gardiner), seguita da b, g, ch (come il ted. ich) ecc.[8] Il cosìdetto sillabario persiano antico si distacca leggermente dall’Ugarit in quanto, pur possedendo caratteri alfabetici, molti segni rappresentano dei suoni sillabici (es. du, ya, mu, mi, ha ecc.). Questo sillabario risulta composto da 41 segni (36 segni fonetici e 5 determinativi o tassigrammi) ed è l’unica scrittura cuneiforme esprimente una lingua indo-europea. In ultima sintesi, per ciò che concerne la scrittura cuneiforme, si può affermare, ai fini della presente indagine, che l’alfabeto Ugarit è una tappa abbastanza significativa di avvicinamento alla scrittura alfabetica CV.
III – Sul sistema egizio delle scritture geroglifiche e jeratiche
La scrittura logografica sumera, composta da una notevole quantità di morfemi [4], subì nel tempo un lento ma sensibile processo evolutivo, passando dal sistema di scrittura logografica a logofonetica, processo completatosi in epoca accadica. Man mano che i logogrammi perdevano la finalità di rappresentazione grafica per acquisire la funzione di fonogrammi, i segni assumevano veste anaiconica non avendo più gli stessi aderenza con la realtà oggettiva delle immagini che un tempo rappresentavano. Questo processo evolutivo, peraltro comune alla maggior parte delle antiche scritture, portò a delle modifiche di ordine grafico molto rilevanti [5]. I caratteri cuneiformi, reddere rationem di questo lungo processo evolutivo, furono adottati in molte aree dell’oriente antico come unico metodo di scrittura [6]. Le popolazioni degli altopiani iranici, gli elamiti, gli assiri, i cassiti ecc. pur avendo una propria lingua, furono per lo appunto, accomunati dallo stesso sistema di scrittura, il cuneiforme realizzato su tavolette di argilla mediante appositi cunei. C’è da segnalare altresì che l’accadico divenne per molto tempo la lingua ufficiale nei rapporti internazionali sia commerciali e soprattutto diplomatici in tutta la vasta area testé descritta[7]. Al fine della presente ricerca assume particolare importanza, per ciò che concerne il cuneiforme, la scoperta avvenuta nel 1929 da parte di una missione archeologica francese a Ras Shamra, Siria settentrionale (l’antica Ugarit), di una particolare scrittura in caratteri cuneiformi ristretta esclusivamente a 30 segni o lettere. Il cuneiforme Ugarit risale a periodi compresi tra il 1300 e 800 a.C. Trattasi di un sistema estremamente rivoluzionario di scrittura perché ci si trova di fronte ad un alfabeto consonantico, cioè un alfabeto formato solo da consonanti, quindi una evoluzione profonda rispetto ai caratteri sillabici dell’accadico. Rammento che l’accadico si basava su di una moltitudine di caratteri costituiti da due tipi di segni, morfemi e suoni. I caratteri Ugarit invece si fondavano sul sistema rivoluzionario del rebus che è alla base delle scritture alfabetiche. In sostanza pochi segni ripetitivi, in tal caso trenta, esprimenti i vari suoni consonantici che opportunamente collegati tra loro rendevano il senso del discorso senza ricorrere alle migliaia di segni delle altre scritture, quali l’accadico. Risulta altresì interessante rilevare il moderno ordine di progressione delle lettere di questo alfabeto consonantico, ordine che è rimasto pressoché inalterato nella scrittura alfabetica CV. La prima lettera è ‘a (consonante debole corrispondente in larga misura alla A egizia, G1 della lista Gardiner), seguita da b, g, ch (come il ted. ich) ecc.[8] Il cosìdetto sillabario persiano antico si distacca leggermente dall’Ugarit in quanto, pur possedendo caratteri alfabetici, molti segni rappresentano dei suoni sillabici (es. du, ya, mu, mi, ha ecc.). Questo sillabario risulta composto da 41 segni (36 segni fonetici e 5 determinativi o tassigrammi) ed è l’unica scrittura cuneiforme esprimente una lingua indo-europea. In ultima sintesi, per ciò che concerne la scrittura cuneiforme, si può affermare, ai fini della presente indagine, che l’alfabeto Ugarit è una tappa abbastanza significativa di avvicinamento alla scrittura alfabetica CV.
IV – Sull’influenza dell’Egitto sulle scritture alfabetiche CV
Un tipo di scrittura che ha certamente influenzato l’alfabetica CV greca è la scrittura lineare B. Questo tipo di scrittura derivato in larga misura dalla lineare A risulta a sua volta derivazione di una proto-scrittura cretese di chiarissima derivazione egizia. La lineare B è presente a Cnosso tra il XV e XIII sec. a.C. e certamente deve aver influenzato in una certa maniera la scrittura greca. Le influenze esercitate dall’Egitto su Creta furono rilevanti e questo ci è confermato dalla cospicua mole di materiale egizio rinvenuto nell’isola ed in particolare a Cnosso. La evoluzione delle tre scritture in questione appare evidente confrontando i morfemi della proto-scrittura, sensibilmente vicini alla scrittura geroglifica egizia, ripresi poi nel lineare A che conserva ancora molto dei caratteri geroglifici (es.il segno egizio imAx [17] risulta pressoché identico nel lineare A al pari di F2 e così via per diversi altri segni che risultano per oltre metà derivati dai geroglifici in forme più o meno marcate). Il lineare B non si discosta molto dal lineare A. Trattasi di sistema di scrittura alfabetica-sillabica. Es. i-je-re-ja (sacerdotessa), si scrive con quattro segni due dei quali si avvicinano molto alla w ed uno al c greci; in ke-re-si-ja (cretese) si possono rilevare altri due segni su quattro vicini alla grafia greca ecc. Uno degli elementi più significativi, scaturenti dalla grande scoperta delle scritture lineari da parte del Ventris (chamato lo Champollion del XX sec.) consiste proprio nell’aver messo in evidenza la sensibile influenza che queste scritture, composte di ideogrammi e simboli sillabici, hanno esercitato sul greco arcaico. Quanto al cosìdetto disco di Phaistos, tuttora indecifrato, appare marcata anche in tal caso la forte influenza dei caratteri geroglifici egizi. Confrontando l’iconografia dei segni della proto-scrittura cretese con il disco di Phaistos ci si rende conto infatti della notevole somiglianza grafica dei vari segni e quindi in ultima analisi la certa derivazione di questi dall’Egitto anche se, giova utile rammentare, non se ne conosce il valore semantico degli stessi. L’altro e certamente più importante e fondamentale vettore del sistema di scrittura CV acquisito dalla Grecia è rappresentato dal sistema di scrittura fenicio, a sua volta derivato dal proto-cananeo. Verso il 1700 a.C. gli egiziani conquistarono la regione del Sinai ricca di miniere di turchese ed importante punto d’incontro del commercio. La presenza egizia fu molto rilevante e finì coll’influenzare la lingua semitico-occidentale (proto-cananea) nonché il sistema di scrittura di quelle popolazioni. Tale evento risulta di straordinaria importanza in quanto lo stesso dette l’avvio alla creazione del sistema di scrittura alfabetica che in epoche successive, come si dirà, approdò nell’Ellade. La grande genialità che ebbero i cananei fu quella di acquisire dagli egizi alcuni segni in uso in quella scrittura (forse 22-23) e di utilizzare gli stessi per esprimere la loro lingua. Non più miriadi di segni, pittogrammi, ideogrammi ecc., bensì poco più di venti segni che, col sistema del rebus, riuscivano a fotografare in modo esauriente il pensiero dell’uomo. Il vantaggio era enorme perché scrivere con poco più di venti segni rendeva lo scritto facilmente intellegibile ad una quantità maggiore di lettori e certamente con minori complicazioni interpretative. I segni in questione ricalcavano grammaticalmente il meccanismo consonantico in uso nell’Egitto. Per quanto detto l’alfabeto proto-cananeo si può definire un alfabeto consonantico al pari dell’ugaritico di epoca successiva, ma realizzato quest’ultimo con i caratteri cuneiformi. Nel merito giova precisare che le popolazioni sinaitiche presero in prestito dagli egizi soltanto i segni-parola (logogrammi) e non la lingua. Pertanto si determina il caso che un segno corrispondente ad un certo valore fonetico in lingua egiziana venga utilizzato in lingua cananea per esprimere fonemi differenti. Prendendo in esame alcuni segni di questo alfabeto si può rilevare quanto segue: il primo segno proto-cananeo corrisponde al segno egizio kA (E1) testa di bue con il suono di consonante debole ‘ [18] ; il segno egizio N (N35) acqua increspata ha valore fonetico n mentre nella scrittura proto-cananea assume il valore di m; il segno egizio h (O4) casa corrisponde al b cananeo = baith (casa) divenuto poi il beta greco; il segno trilittero egizio sqr (Aa7) corrisponde al g cananeo; il trilittero Z11 due tavole incrociate con suono imi corrisponde al monoconsonantico t cananeo; D (I10) cobra = naja haje ultima lettera dell’alfabeto egizio dal suono g come gelato assume valore di n in proto-cananeo; M22 (od anche il simile M23) dal valore fonetico sw (pron. conv. su) viene preso in prestito in proto-cananeo con suono ş pertanto uno dei pochi casi di segni in linea di massima coincidenti nel valore fonetico. Abbastanza interessante, a mio avviso, è anche il segno sqr Aa7 stuoia di papiro con significato di colpire. Questo logogramma, nella versione in uso a partire dalla XVIII Dinastia, risulta invertito nella posizione ed in questa appare identico al g proto-cananeo. La scrittura derivata della proto-cananea è la fenicia. I segni di questo alfabeto risultano leggermente modificati nella veste grafica rispetto alla proto-cananea. Così ad esempio l’aleph testa di bue assume un aspetto orizzontale e più lineare [19]; il baith al contrario si trasforma in un triangolo verticalizzato con una coda; il g si capovolge divenendo poi il gamma greco. I fenici erano dei marinai, gente dedita ai commerci in tutta l’area del Mediterraneo ed in guisa notevole proprio nei confronti della dirimpettaia Grecia [20]. I frequenti contatti con questa terra favorirono l’introduzione dell’alfabeto fenicio nelle regioni dell’Ellade. A questo punto si verificò un altro evento rilevante nella lenta e lunga marcia all’alfabeto in uso nell’occidente. I greci trasformarono l’alfabeto consonantico fenicio in alfabeto vocalico o CV per renderlo maggiormente adattabile alla loro lingua più aperta del semitico occidentale [21]. Ancor oggi è noto che le popolazioni arabe hanno una vocalizzazione estremamente chiusa, gutturale ben diversa dagli idiomi indo-europei. Così dei segni consonantici fenici diventarono vocali: l’aleph semitico diventa l’alfa greco; il monolittero egizio r (D21) bocca umana corr. al suono consonantico debole ‘ nel proto-cananeo e fenicio diventerà omicron ; l’h (corrispondente al segno egizio A28 acquisito dal proto-cananeo e poi successivamente trasformato in una specie di pettine nel carattere fenicio) diventerà l’epsilon greco. In conclusione si possono riassumere le seguenti tappe salienti relative alla evoluzione della scrittura che hanno portato alla creazione dell’alfabeto usato oggi in occidente: a) senso di progressione dell’alfabeto ereditato dal cuneiforme Ugarit; b) acquisizione nel greco arcaico di alcuni segni presumibilmente dalla lineare B cretese (segni di chiara derivazione egizia attraverso la lineare A e la proto-cretese); c) presa in prestito di alcuni segni egizi e creazione di una scrittura alfabetica consonantica da parte delle popolazioni proto-cananee; d) evoluzione grafica dell’alfabeto proto-cananeo nell’alfabeto consonantico fenicio; e) presa in prestito da parte delle popolazioni della Grecia dell’alfabeto fenicio con introduzione dei suoni vocalici ergo evoluzione in Grecia dell’alfabeto che da consonantico diventa consonantico-vocalico.
V – Sul processo evolutivo delle scritture
La scrittura geroglifica ha una peculiarità che la rende diversa dalle altre antiche scritture. La sua funzione era riservata esclusivamente alla sfera della sacralità. Gli egizi appellavano questa scrittura mdw-nTr (pron. conv. medu-necer) cioè “parola di dio”, “verbo divino”. Partendo da tale assioma appare oltremodo comprensibile che i testi in geroglifico risultino fortemente intrisi di trascendenza. Ho sempre considerato le scritture geroglifiche come delle icone ove l’immagine dorata deve mostrare i valori dello spirito, l’irreale. Analoga considerazione, seppur in guisa minore, la si può formulare per le scritture derivate jeratica e demotica. Scritture che, seppur d’ uso comune [22], pur tuttavia hanno costantemente rispecchiato una società fortemente permeata da immobilismo, da una concezione della vita del tutto particolare almeno fino al periodo tolemaico, allorché iniziò la forte influenza dell’ellenismo. La scrittura egizia risulta sostanzialmente povera, cioè esprimente un linguaggio essenziale ridotto ad una concettualità semplice e lineare. Nulla di lontanamente paragonabile alla complessità del pensiero espresso dai greci con l’utilizzo delle scritture alfabetiche CV. La stessa grammatica di questa lingua denota sovente un forte senso di staticità. Ad esempio nella costruzione del verbo, elemento dinamico denotante un’azione da parte del soggetto, si rileva fondamentalmente un carattere statico dell’espressione. I valori dinamici significativi del verbo risultano relegati entro il valore semantico dei singoli lemmi. Giova rammentare che tutta la società egizia, dal sovrano al più umile dei servitori, era ampiamente dominata dal così detto ordine primordiale della dea Maat, la dea della giustizia, dell’ordine delle cose, oserei dire del tutto. Ogni cosa, ogni evento era in sostanza predeterminato in una specie di mondo delle idee di reminiscenza platonica. Il destino non era dettato dalla casualità, bensì da un perfetto equilibrio, da una intelaiatura già concepita e governata dalla dea Maat sin dalle origini. Nessuno poteva opporsi a quest’ordine cosmico. Anche se una battaglia si fosse risolta in una disfatta militare, i vinti superstiti avrebbero accettato serenamente l’evento apparentemente negativo e questo perché rientrava nell’ordine delle cose e soprattutto perché ciascuno era conscio che alla fine dei tempi, l’Egitto avrebbe sempre trionfato su tutto e tutti. Una weltanschauung così concepita, enormemente distante non solo dal nostro mondo ma anche dal mondo greco maggiormente volto alla ricerca ed alla speculazione filosofica, chiarisce le cause di tale immobilismo, la staticità di una società che aveva alla base di tutto una spiritualità fortissima, tutta proiettata all’aldilà. Ma se ciò corrisponde a verità in virtù di che cosa l’Egitto ha primeggiato in maniera rilevantissima in tanti settori, dalla matematica, all’ingegneria, astronomia ecc. forse più di qualsiasi altra civiltà? I greci mostrarono sempre atteggiamento reverenziale per questa civiltà definendosi sovente figli di questa, la così detta interpretatio graeca oggetto di critica da parte degli idealisti tedeschi [23]. Il motivo di tale direi dicotomia sta nel fatto che la ricerca sul piano scientifico e direi anche artistico era esclusivamente indirizzata alla conoscenza di quest’ordine perfetto delle cose, in ultima analisi alla conoscenza del divino [24] . Quindi una ricerca oserei dire passiva, al contrario del mondo greco ove esisteva lo stimolo della ricerca, della speculazione al fine supremo del progresso dell’uomo. La speculazione filosofica sorse in Grecia proprio in virtù di tali presupposti anche se, ad onor del vero, la stessa si basò ab initio sul mito e la visione cosmica dell’Egitto [25]. Sulla base di queste considerazioni, peraltro essenziali per ben comprendere la problematica di che trattasi, si può capire il perché le scritture geroglifiche si basarono su migliaia di segni rappresentanti il mondo nelle molteplici configurazioni. Gli egizi erano certamente ben consapevoli che avrebbero potuto risolvere il problema della lingua con i soli 24 segni monolitteri costituenti l’alfabeto consonantico unitamente ad altri pochi segni. Non lo fecero perché questa metodologia avrebbe fortemente penalizzato l’aspetto estetico certamente preminente, tenuto conto delle particolari finalità di questa scrittura. La scrittura doveva esprimere in modo accurato e preciso, il mondo nelle molteplici configurazioni, in ultima ratio l’Egitto stesso. Come accennato in altra sede le scritture dell’antico Egitto esprimono concetti basati su elementi concreti, non traspare mai nelle stesse l’espressione di un sistema di pensiero astratto. In proposito giova sottolineare che il contenuto dei geroglifici, fortemente intriso di jeraticità, di sacralità è pur sempre connotato da una esposizione dei fatti tangibile, lineare, del tutto scevra da una concettualità astratta. La causa di tale caratteristica è in parte certamente dovuta, per la struttura morfologica, alla scarsa adattabilità di queste scritture ad esprimere pensieri, concetti non basati su elementi tangibili. Ma la causa principale io credo va cercata nel particolare comportamento della casta sacerdotale egizia. I sacerdoti, mandatari in terra del dio Thoth, il dio della sapienza, della scrittura, erano i depositari del sapere in senso lato. La casta sacerdotale era gelosa di tale esclusiva e cercò sempre di impedire la trasmissione di tale sapere al popolo ed ancor più agli stranieri. I sacerdoti basarono le loro conoscenze essenzialmente sulla trasmissione orale, vero fulcro del sapere, lasciando alla scrittura il compito oserei dire marginale di trasmettere ai terzi gli aspetti esteriori, formali delle cose. Sulla base di tali considerazioni, a mio avviso, risulta difficile il poter stabilire se l’uomo egiziano non sia stato incline, né tantomeno abbia cercato di sviluppare un sistema di pensiero astratto, come afferma il Breasted, od al contrario, come sarei propenso a ritenere, questi concetti restarono solo appannaggio dei sapienti ergo la casta sacerdotale. Ben diversa la valutazione per le altre scritture dell’oriente antico quali soprattutto la sumera e la cuneiforme. In linea di massima la maggior parte dei copiosi reperti rinvenuti inerenti tali scritture ci hanno mostrato finalità pratiche come documentazioni di atti giuridici o strumenti contabili. In Grecia l’introduzione della scrittura fenicia ab inizio fu accolta dalla classe dei sapienti con un certo scetticismo, Socrate docet. Lo stesso Platone espresse inizialmente alcune perplessità in proposito sostenendo che l’uso inveterato della scrittura avrebbe finito per indebolire la memoria degli uomini; comunque in epoca successiva pare che il divino plato ebbe a cambiar opinione. La scrittura fenicia non si prestava molto alla lingua greca [26], per cui così come avvenne per i segni egizi ed il proto-cananeo [27], i greci realizzarono quel processo di vocalizzazione sostituendo, a loro uso e consumo, alcuni segni consonantici fenici direi “ignoti” alla lingua greca, trasformandoli in vocali [28]. Altra innovazione importante che fu introdotta dai greci fu il cambiamento del senso di lettura della scrittura fenicia che era sinistrorsa, divenendo dapprima bustrofedica e poi definitivamente destrorsa. C’è da rimarcare in proposito l’unica carenza a cui si presta tale tipo di scrittura: la numerazione. Non esistendo lo zero nella stessa, l’espressione numerica è rimasta sempre macchinosa e complicata sia in Grecia che a Roma. Com’è noto questo problema fu risolto allorché gli arabi, con l’introduzione dello zero e dell’analisi matematica su base diversa, resero fattibile un sistema di numerazione nuovo basato sui numeri cosìdetti arabi . Tale sistema è oggi praticamente usato in tutto il mondo perché adattabile a qualsiasi tipo di linguaggio.[29] Il nuovo alfabeto, introdotto intorno all’VIII sec. a.C., certamente riuscì a migliorare sensibilmente le esigenze della lingua greca. Occorre tener conto che nessuna logica può svilupparsi e conseguentemente nessuna scienza può progredire senza uno studio dell’arte di esprimersi. Tale ricerca scaturisce da un idoneo approfondimento della grammatica, della funzione delle parole e tutto ciò non può che materializzarsi se non utilizzando il sistema di scrittura più idoneo ad una certo linguaggio. L’innovazione di che trattasi agevolò ed incrementò di molto l’uso della scrittura in tutti i settori e quindi anche nel campo scientifico e letterario. Prova ne è che l’inizio del “miracolo greco” risale proprio a quei periodi. Contrariamente a quanto ipotizzarono gli scettici, la possibilità di lasciar traccia dell’operato dell’uomo finì per far sviluppare in miglior guisa quella serie intercambiabile di anelli che costituiscono non solo la storia di per se stessa, ma anche e soprattutto il progresso dell’uomo. Pertanto si può ben definire una grande rivoluzione, una grande svolta di vastissime proporzioni [30]. La scrittura alfabetica CV è stata da quell’epoca direi la scrittura dell’occidente, del cristianesimo, essa ha fotografato tutta la storia di circa tre millenni, ha testimoniato da prima attrice tutte le invenzioni ed il relativo progresso che ha caratterizzato l’occidente medesimo. Forse oggi, alla soglia del III millennio, ci troviamo di fronte a radicali cambiamenti nei sistemi di comunicazione dell’uomo; l’informatica, internet ed altre forme innovative che certamente direi a breve scadenza avremo (il progresso tecnologico aumenta certamente in forma esponenziale) io credo finiranno per rendere obsoleta qualsiasi forma di scrittura da noi conosciuta.
VI – Sul livello di adattabilità della scrittura CV ai diversi linguaggi
Si tratta di analizzare un altro importante aspetto della problematica connessa alle scritture CV e cioè quale sia il grado di adattabilità di questo tipo di scrittura nei confronti degli altri linguaggi appartenenti a ceppi diversi dall’indo-europeo. In sostanza valutare se il grande, direi insostituibile e determinante apporto fornito da questo tipo di scrittura alle lingue dell’occidente possa essere estensibile sic et simpliciter ad altri idiomi. Preliminarmente ritengo opportuno puntualizzare che la scrittura alfabetica CV è stata introdotta in epoche più o meno recenti in diverse parti del mondo con motivazioni estranee alle vere esigenze della lingua. Nel particolare mi riferisco a tutti gli idiomi dell’Africa sub-sahariana che in epoca recente hanno adottato i caratteri latini per esprimere i loro linguaggi. E’ noto che l’introduzione dei caratteri latini nell’Africa nera fu praticamente imposta dal colonialismo delle potenze del tempo (Francia, Inghilterra ecc.). Si tenga altresì presente che i vari idiomi dell’Africa erano dialetti tramandati oralmente e pertanto non supportati da idonei sistemi di scrittura. Analoga considerazione va fatta per altri linguaggi, quali l’indo-cinese e l’indonesiano, ove l’adozione dei caratteri latini risale ai periodi di dominazione francese nel primo caso e olandese nel secondo. Resta difficile il poter stabilire, e nel merito esprimo forti riserve, se tali forme imposte di scrittura abbiano realmente costituito la miglior soluzione al problema per ciascun determinato linguaggio. Fatta questa premessa bisogna considerare un fattore fondamentale: una scrittura si sviluppa, prende una certa strada, in base alle esigenze della lingua della popolazione che la usa. La scrittura alfabetica CV si è sviluppata in occidente ed ha certamente contribuito al suo progresso essenzialmente perché quasi tutte le lingue del ceppo indo-europeo si prestavano ottimamente a tale sistema. Le lingue latine, slave e germaniche appartenenti al ramo giapetico degli idiomi sono lingue flessive al pari del sanscrito e naturalmente della lingua greca [31]. Ora sia le lingue camitiche dell’epoca ma soprattutto le semitiche antiche e contemporanee sono lingue che, pur essendo flessive al pari delle indoeuropee, presentano delle strutture morfologiche profondamente diverse. Le lingue semitiche attuali (ebraico ed arabo) ad esempio hanno per caratteristica che ciascun vocabolo è formato da tre consonanti che possono modificarsi inserendo vocali a seconda della categoria grammaticale e delle funzioni morfologiche [32]. Un sistema alfabetico CV per le lingue semitiche diventerebbe poco adatto a quel sistema di linguaggio. Analoga considerazione potrebbe essere estesa ad altre lingue e scritture quali la cinese e la giapponese. Un esempio chiarificatore, a conferma di quanto affermato, lo abbiamo proprio se prendiamo in esame i collegamenti che sono esistiti tra la lingua e la scrittura di questi due paesi asiatici. La scrittura giapponese ab origine prese in prestito gli ideogrammi cinesi. Tale tipo di scrittura mal si adattava comunque per esprimere la lingua giapponese antica (la yamato) essendo questa lingua agglutinante al contrario della cinese che era isolante. Dall’interazione tra la lingua yamato e la scrittura cinese nacque la scrittura kojiki o tentai kanbun, tipo di scrittura che meglio si prestava all’espressione della lingua giapponese. Diverso è il caso delle lingue agglutinanti (ugro-finniche e turche) più adatte all’uso dell’alfabeto CV [33]. Analogo discorso potrebbe essere azzardabile all’inverso per le lingue parlate negli altopiani iranici e zone circostanti. In queste ampie aree dell’Asia gli arabi imposero la loro scrittura. A mio avviso per queste zone geografiche di lingua ed etnia indo-europea (gli iranici, i tagikki ecc.) forse la scrittura alfabetica CV, per le considerazioni anzi esposte, sarebbe stata più adatta della scrittura araba. Ma in tal caso ci si è trovati innanzi ad una vera e propria imposizione di matrice religioso-politica. Per ciò che concerne l’antico Egitto, la scrittura geroglifica, essendo finalizzata alla sacralità ed al monumentale e pertanto non esprimente la lingua di uso corrente, resta a mio avviso, esclusa da una concreta valutazione al riguardo. Diversa al contrario è l’analisi della scrittura copta e demotica. La scrittura copta sorse nell’Egitto cristiano per finalità essenzialmente religiose ed il suo utilizzo restò, almeno inizialmente, ristretto a tale finalità. Non era possibile ammettere nella liturgia sacra cristiana la scrittura demotica espressione della religione, delle tradizioni di un Egitto pagano. I greci ideatori della scrittura copta, derivata dalla alfabetica greca CV, furono costretti, al fine di rendere utilizzabile tale scrittura ai dialetti dell’epoca, inserire nell’alfabeto copto ben sette lettere di chiara derivazione egizia, fonemi indispensabili onde poter esprimere le varie tonalità della lingua[34]. E’ mio convincimento che la scrittura copta dovette incontrare difficoltà iniziali dovute al fatto che tale sistema mal si adattava alla morfologia della lingua locale. In proposito giova rammentare che nei primi secoli dell’era cristiana la popolazione delle campagne, non ellenizzata [35], continuò ad usare fin verso il V secolo la scrittura demotica, essendo la scrittura copta, come in precedenza accennato, relegata esclusivamente o quasi alle funzioni liturgiche. La scrittura copta, a mio avviso come detto, forzatamente introdotta per usi diversi da esigenze linguistiche, mal rispecchiò la lingua del tempo ed è questa una delle cause, io credo, che all’indomani della invasione araba dell’Egitto, la portò al rapido dissolvimento[36]. La struttura morfologica della scrittura araba era certamente molto più affine alle scritture in uso nell’antico Egitto, appartenendo entrambi i linguaggi ad un unico grande ceppo il camitico-semitico. Per quanto accennato la scrittura CV, a mio avviso, non può essere definita la miglior forma di scrittura adattabile ad un qualsiasi linguaggio. La caratteristica di questa scrittura si presta, come visto, per determinati linguaggi, come ad esempio i linguaggi flessivi dell’occidente e agglutinanti in genere (gli idiomi appartenenti alla grande famiglia turanica). Sulla base di queste considerazioni si può affermare che ad un certo linguaggio dovrebbe corrispondere quella forma di scrittura più adatta allo stesso. A sostegno di quanto detto pongo in evidenza il fatto che l’Islām per circa otto secoli, dal VII al XV-XVI dell’era Cristiana, durante i secoli bui permeati dalla scolastica, dall’oscurantismo dogmatico contrario alla logica [37] e sino alla rinascenza, ha dominato il mondo culturale e scientifico dando un apporto determinante in molti settori dello scibile umano e dove l’asse portante, il vettore di tale sapere, è stato costituito proprio dalla scrittura araba. Comunque al di là di tali considerazioni, solo in apparenza restrittive, la incommensurabile importanza delle scritture alfabetiche CV di fronte alla storia, pone le stesse direi in una condizione forse unica rispetto a tutte le altre forme di scrittura. Queste scritture infatti non solo hanno rappresentato l’immagine della nostra civiltà sin dalla antichità classica ad oggi, ma hanno altresì fornito un importante contributo, come parte attiva e stimolante nel linguaggio, a questo processo evolutivo senza pari nella storia dell’uomo.
Opere consultate
Allen, J.P. : Middle Egyptian, Cambridge University Press;
Bernal, M.: Atena Nera “le radici afroasiatiche della civiltà classica”, ed. Est 1997;
Bowman, A.K.: L’Egitto dopo i Faraoni, ed. Giunti – Firenze 1997;
Garbini, G. : La questione dell’alfabeto dall’opera “I Fenici” – Bompiani 1988;
Gardiner, A.H.: Egyptian Grammar, Griffith Institute – Oxford 1994 ;
Moscati, S. & Pallottino, M.: Rapporti tra Greci, Fenici, Etruschi ed altre popolazioni italiche alla luce delle nuove scoperte, Roma 1966;
Obenga, T.: La philosophie Africaine de la période pharaonique, L’Harmattan – Paris 1990 .
[1] Si usa il simbolo CV per indicare la scrittura alfabetica provvista sia di vocali (V) che consonanti (C) in contrapposizione ai sistemi di scrittura consonantica alfabetica e sillabica alfabetica.
[2] Termine coniato dal Breasted agli inizi del secolo scorso per identificare quella vasta area geografica costituita ad est dall’alluvio mesopotamico, ad ovest dalla valle del Nilo ed a nord a guisa di saldatura dalla Siria, Libano e Palestina (il Ténéré egizio).
[3] Le incisioni rupestri più antiche risalirebbero, secondo molti autori, a 25-30 mila anni.
[4] Termine qui inteso come unità base in un linguaggio recante uno specifico significato.
[5] I caratteri cuneiformi (sistema di scrittura logofonetico basato prevalentemente su meccanismi sillabici) risultano essere delle lineette inintellegibili perché segni convenzionali collegati a dei suoni e pertanto del tutto difformi dalle immagini, seppur grossolane della iconografia sumera.
[6] Il Rawlinson nel XIX sec. riuscì a decifrare la famosa roccia di Behistun nella piana di Kermanshah in Iran scritta in persiano, elamita, babilonese/neo-assiro, catalogate come Classe I, II, III. Tre lingue diverse che esaltavano le gesta di Dario (Darjawush), per un solo tipo di scrittura il cuneiforme.
[7] Anche gli egizi nei loro rapporti diplomatici si servirono della lingua accadica utilizzando naturalmente i caratteri cuneiformi. Rammento le famose tavolette di Amarna, in lingua accadica, rinvenute nel 1887 ad Akhetaton (el Amarna) inerenti un carteggio diplomatico tra Amenophi III, Amenophi IV (Akhenaton) con Burnaburiash II re di Babilonia, Suppiluliumas (l’eg. Sapalulu) re degli Ittiti e Tushratta re del Mitanni.
[8] Ipotesi interessante quella formulata dal noto orientalista Alessandro Bausani secondo la quale la progressione delle lettere dell’alfabeto fenicio, che riprende sostanzialmente la progressione dell’ugaritico, raffigurerebbe una specie di calendario lunare ove alep, tet, ‘ayn e taw rappresenterebbero, nell’ordine, l’equinozio di autunno, il solstizio d’inverno, l’equinozio di primavera ed il solstizio d’estate.
[9] Il logogramma o lessigramma od anche segno parola nelle scritture geroglifiche è rappresentato dal pittogramma che può assumere valenza iconica (ideogramma) od anaiconica (fonogramma).
[10] James H. Breasted: The philosophy of a Memphite priest “Zeitschrift für ägyptische Sprache und Altertumskunde” pagg. 39-54 ed. 1901.
[11] Il cosìdetto ordine primordiale della dea Maat..
[12] Il logogramma, pur conservando un’iconografia inalterata, esprime un valore semantico anaiconico.
[13] Il Medio Regno è il periodo classico della lingua egiziana antica, quello di maggior studio.
[14] Lo jeratico, chiamato altresì corsivo, derivato dai geroglifici ma dal tratto grafico più approssimativo, direi più rozzo rispetto alla ineguagliabile raffinatezza delle scritture geroglifiche, era in sostanza la scrittura alternativa per gli usi quotidiani, epistolari in genere.
[15] Poiché i logogrammi sono numerosissimi (la così detta scrittura tolemaica li fa ascendere addirittura a circa 5000), lo scriba collocava accanto ai segni bi-tri-consonantici i complementi fonetici ed i determinativi (tassigrammi) atti a non generare confusione in fase interpretativa degli stessi.
[16] I segni monolitteri furono utilizzati in genere come alfabeto soltanto per individuare nomi stranieri di località, sovrani ecc. Proprio questa prerogativa aprì le porte a Young e Champollion nella decifrazione di Tolemeo e Cleopatra contenuti nella famosa stele di Rosetta. Entrambi i sovrani erano, com’è noto, di stirpe greca (epoca tolemaica).
[17] Nel caso in esame trattasi del segno F39 della lista Gardiner.
[18] In egiziano antico la consonante debole A (G1) corrisponde all’avvoltoio egiziano (neophron percnopterus) con valore fonetico pressoché identico all’aleph cananeo (א ebraico e أ arabo).
[19] Le due corna del segno oramai orizzontali nel fenicio diventeranno le due appendici dell’alfa greco.
[20] I fenici appellavano la Grecia col termine semitico ‘rep che significa occidente. Da questa parola nasce il termine Europa per designare l’intiero continente appendice dell’Asia.
[21] Giova rammentare che i contatti tra l’Egitto e le regioni ad est del Sinai durante il II millennio a.C. furono rilevanti e duraturi; ciò determinò una discreta penetrazione della lingua egizia in quelle regioni e viceversa, per cui molti vocaboli egizi e semitico occidentali hanno identica radice. Di conseguenza i frequenti contatti dei fenici col mondo greco, oltre alla scrittura, finirono per far introdurre tra quelle popolazioni indo-europee molte parole di radice camitico-semitica. Il Bernal addirittura parla di un 25% di origine semitica ed un 25% di origine egizia. Al di là di tali percentuali, a mio avviso forse esagerate, personalmente ho riscontrato ad oggi circa cento vocaboli acquisiti dalla Grecia e dai latini di certa o probabile derivazione egizia.
[22] La scrittura jeratica fino ad epoca saidica fu scrittura per usi comuni; onde renderne più rapita la stesura fu appunto caratterizzata dalla unione dei segni tra di loro. Dal VII sec. a.C., con l’introduzione della demotica (appellata altresì nell’ottocento scrittura encoriale), la jeratica finì per essere relegata per finalità pressoché analoghe alla geroglifica.
[23] Il Winckelmann e la Scuola di Göttingen prima, gli idealisti ed i romantici poi furono i fautori di un vero e proprio movimento di ellenomania. La Grecia era figlia di nessuno se non della sua grandezza. Prima scintilla dell’arianesimo che degenerò poi nell’antisionismo e nel razzismo. Unica critica che l’intellighenzia germanica addebitò alla Grecia fu proprio la interpretatio greca, cioè la descrizione “platonica” e “pitagorica” che Plutarco ci dà della religione egizia, in sostanza la convinzione del mondo greco di considerarsi figli della sapienza dell’Egitto. Per gli idealisti tedeschi ciò era intollerabile, perché avrebbe significato riconoscersi culturalmente discendenti da popolazioni camitico-semitiche.
[24] Questo concetto di spiritualità, di universalità fu acquisito dal Bruno, seppur in chiave eliocentrica. Il filosofo nolano fu certamente il pensatore del rinascimento – erroneamente definito dalla Yates mago ermetico – più vicino ai principi della religione egizia, ove l’Ars Mathematica e la Magia ne costituivano parte integrante.
[25] Difficile poter disconoscere che i concetti di νόος (la mente così come si manifesta nel pensiero e nella percezione) e λόγος (la parola, il verbo) non abbiano origine da principi contenuti nella cosìdetta Teologia menfita (cfr. J. Breasted, op. ib.) di epoca ben anteriore ai filosofi greci.
[26] Si rammenta che il greco arcaico nel II millennio a.C. già utilizzò i segni lineare A e B (miscuglio di ideogrammi e segni sillabici) che meglio rispondevano alle esigenze di tale lingua.
[27] In tal caso, come visto, i segni seppur intercambiati tra di loro restarono comunque sempre consonantici.
[28] Giova rammentare per maggior precisione che nel concreto i suoni vocalici furono presi in prestito da alcuni segni consonantici estrapolati dall’aramaico, scrittura questa derivata dalla fenicia.
[29] I numeri arabi sono logogrammi, infatti ciascun numero è espresso da un determinato segno. Es. il numero sette, che nella numerazione romana è espresso da tre segni (VII) può essere letto, in alternativa alle lettere alfabetiche s-e-t-t-e (cinque lettere), utilizzando i numeri arabi mediante il segno 7. Chiunque legga quel segno, a qualsiasi lingua appartenga, sa che possiede quel determinato significato.
[30] E’ appena il caso di rammentare che la scrittura greca si diffuse poi in altre regioni dando luogo a diversi sistemi di scritture alfabetiche, dal copto all’etrusco, al latino, al georgiano, armeno, cirillico ecc.
[31] Non tutte le lingue indo-europee sono flessive o affissanti, l’inglese ad esempio è lingua isolante.
[32] L’alfabeto arabo, ad esempio, evidenzia soltanto le cosìdette vocali lunghe omettendo le brevi.
[33] Nelle regioni dell’Asia centrale ex sovietica di lingua turca (Uzbekhistan, Kazakhstan, Turkmenistan ecc.) la diffusione dei caratteri cirillici, od anche l’introduzione dei caratteri latini in Turchia promossi dalla riforma Ata-Türk, deve appunto essere vista in modo positivo proprio in virtù della tipologia di questi idiomi.
[34] Si parla di scrittura copta e lingua copta. Per lingua si intendono convenzionalmente e forse in modo improprio, i dialetti in uso nell’Egitto romano e cristiano. Questi dialetti erano il saidico (il più diffuso, usato nella zona di Tebe), il boairico parlato nella zona del Delta (questo dialetto nella scrittura copta fu utilizzato nella liturgia copto-cristiana), il Fayumico nell’oasi del Fayum, l’Akhmimico (dalla città di Akhmin), il meso-khemico nelle aree centrali ed infine il licopolitano o sub-akhmimico nell’alto Egitto e nel Kush settentrionale.
[35] Nelle grandi città, come Alessandria, la popolazione era cosmopolita per la forte presenza di greci immigrati ed ebrei. Costoro, unitamente agli indigeni ellenizzati, usavano direttamente il greco sia parlato che scritto.
[36] Seppur ancora utilizzata, in taluni casi, fin verso il XV sec. la sua fase si può dire risolta ancor prima del mille.
[37] Non credo di azzardare eccessivamente nel sostenere che la cosìdetta rinascenza carolingia, l’epoca di Gerberto, può riassumersi soltanto nella grande opera di memorizzazione ai posteri del grande patrimonio lasciatoci dall’età classica.